Non avrei mai pensato di trovarmi qui, in una sera di primavera, a scrivere il mio parere su un’opera di Ishiguro. Preciso, non avrei mai pensato di trovarmi a scrivere un parere positivo su una sua opera.
Il mio primo approccio con Kazuo Ishiguro è stato piuttosto turbolento, e si è concluso nel peggiore dei modi: a metà, bruscamente, come una relazione che si taglia di netto dopo aver scoperto qualcosa di imperdonabile.
Durante il mio primo anno di università frequentavo un corso che vantava nel programma la presenza di “Non lasciarmi”, opera di Ishiguro pubblicata nel 2006. Non ho intenzione di raccontare la trama ne tantomeno dire cosa non mi è piaciuto, vi dico solamente che l’esame, a fine corso, l’ho sostenuto non conoscendo perfettamente il romanzo: a metà non ne potevo più.
Non so dire cosa fosse successo: lo stile di scrittura, la trama, i personaggi, l’ambientazione. Qualcosa proprio mi rimaneva indigesto, e io non riuscivo più a stare con il mal di stomaco.
Non è finito l’amore, tra me ed Ishiguro: semplicemente, non è mai nato.
Ma torniamo a noi.
Durante l’ultima giornata del mio primissimo viaggio a Roma (che ho amato, follemente, come i piatti di carbonara che mi sono mangiata), il mio ragazzo ha acquistato, nel bookshop di uno dei tanti musei romani, il volume “La mia sera del Ventesimo secolo e altre piccole svolte”, edito da Einaudi.
Appena l’ho visto dirigersi verso la cassa con il libro tra le mani ho storto un po’ il naso, dicendogli che probabilmente non gli sarebbe piaciuto, visti i nostri gusti simili in fatto di libri.
Fortunatamente non mi ha ascoltata.
Saliti sul treno di ritorno ci siamo dedicati alla lettura: lui di Ishiguro, io delle poesie di Gio Evan (ve ne parlerò nei prossimi giorni).
Dopo un’ora di tragitto abbiamo entrambi concluso il libro che avevamo tra le mani e, da buoni fidanzati, ce li siamo scambiati. Ero titubante, ovviamente, ma mi sono fidata quando lui mi ha detto: “Leggilo, credimi: potrebbe darti qualcosa. Ti piacerà.”
Viste le dimensioni microscopiche (36 pagine) ho rischiato.
Nel volume di Ishiguro viene riportato il discorso tenuto in occasione della sua premiazione in seguito al conseguimento del Premio Nobel per la Letteratura, nel 2017.
In particolare, Kazuo parla di tutti quei momenti che nella sua vita lo hanno portato ad evolvere, fino a diventare lo scrittore che il mondo conosce. Non parla di lezioni di vita, di consigli su come apprezzare di più la quotidianità. Parla di momenti precisi, indelebili nella sua memoria, che lo hanno portato a muovere un passo in più, quel passo, nella direzione della scrittura.
Parla degli scritti giovanili, di come era la sua scrittura e delle idee che voleva trasmettere, e poi parla di come quelle idee sono cresciute e maturate in un frutto diverso, con la stessa radice ma un obiettivo nuovo.
Ishiguro parla delle scintille.
Ora, mi soffermo su questa parola, e solo chi, tra quelli che leggeranno queste mie parole, mi conosce davvero starà sorridendo arrivato a questo punto.
Le scintille.
Sono una delle metafore più belle che io conosca.
Scintilla è una cosa da niente, ma che può tutto.
È una cosa da pochi secondi, una manciata di frammenti di tempo, che può scatenare conseguenze vastissime.
Capitano a tutti, le scintille, ma proprio a tutti: scrittori, e non; adulti, e non; innamorati, e non.
Ishiguro parla di quei momenti che, se riconosciuti, potrebbero portarci ad una rivoluzione.
Il problema, e la conseguente magia, di questi piccoli bagliori di luce è che, davvero, non sono altro che questo: piccoli bagliori di luce, di vita, di energia, di fuoco. Se ce li lasciamo scappare dalle mani, non potremo subire la loro potenza, la loro magia. Se non stiamo attenti, tutti i giorni della nostra vita, a cogliere quello che di straordinariamente piccolo ci succede, non saremo mai in grado di costruire qualcosa di grande.
Per ogni viaggio, basta un primo passo.
Per ogni piatto, basta un primo ingrediente.
Per ogni discorso, basta una prima parola.
Ishiguro ci invita a prestare attenzione al piccolo, per arrivare al grande. Il suo discorso, fatto per invitare alla scrittura e alla comprensione della letteratura, è tranquillamente trasportabile sulla quotidianità. E credo che mai esista lezione più importante di questa: trovare la magia nelle piccole cose, non lasciarsele passare tra le dita, imparare da esse ed evolvere, portandocele addosso.
Concludendo, credo sia inutile dire che questo scrittore è, ormai, un’istituzione del panorama letterario odierno: Premio Nobel (come abbiamo appena detto), vari volumi pubblicati e di un discreto successo; e considerato uno fra i 50 più grandi autori britannici dal 1945.
Ho amato queste pagine sincere e scorrevoli, le sue parole mirate e semplici, i concetti chiari e vivi, personali, appassionati. Ho adorato la scelta di alcuni termini e il messaggio incoraggiante che mi è rimasto addosso. Ishiguro, in questo discorso, invoglia a seguire le proprie passione e a sacrificarsi per esse, e mai ho avuto voglia di scrivere in modo più scottante di quello che ho sentito nel leggere le sue pagine.
Sono convinta, dopo questa lettura, di dovergli concedere un secondo appuntamento.
Se non una cena vera e propria, almeno un aperitivo.
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