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Nuvole e lontananze // Giorgio Panuccio

“Io mi vedo.

Mi conosco?

Io non so se questi occhi

Queste mani e questo corpo

Mi appartengono davvero.


Mi avvicino e mi allontano

Dalla mia reale essenza

Che mi sfugge di continuo.


Il mio essere è un’assenza.”


 

Carissimo Giorgio,

ho letto il tuo libro sottile come un filo d’erba e ci ho trovato la profondità del mare.


In fondo è sempre così: la bellezza è nascosta dove non credevamo di trovarla, dove forse si pensa che non ci sia abbastanza spazio per lei.


Io credevo che in queste pagine avrei trovato qualcosa, ma non tutto, perché solo qualcuno di davvero bravo sarebbe stato in grado di mettere il tutto (della vita, dell’amore, della morte, dell’essere – inteso come verbo – umano) limitandosi al poco.


Sono contenta di aver dovuto rivedere le mie aspettative.


Con poche parole, Giorgio, sei stato capace di farmi sentire la morte sulla pelle, di farmi percepire l’angoscia che a volte ci si posa addosso come un cappotto caldo, la delicatezza che un sentimento racchiude e la promessa tacita che l’amore porta sempre con sé, ovunque decida di posarsi.


Giorgio, quello che hai scritto è frutto di una ricerca che non annienta la spontaneità, ma la esalta: mi sono sempre chiesta se tutto il mio amore per la lettura, se tutto quello che ho assimilato negli anni, non rischiasse di appesantirmi, facendomi risultare troppo composta, studiata, rigida.


Leggere le tue poesie mi ha dato la risposta che cercavo: no, la spontaneità quando c’è, rimane, persiste, sopravvive.


Mi sono emozionata nell’averla scorta in te, perché è una qualità così rara, ormai, che quando la si riconosce c’è bisogno di proteggerla.


Io mi prometto che proteggerò la mia, tu promettiti che custodirai la tua.


In bocca al lupo per il futuro, Giorgio, e non smettere di scrivere.


Grazie,

Vanessa




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