« Dubita che le stelle siano fuoco, dubita che il sole si muova, dubita che la verità sia mentitrice, ma non dubitare mai del mio amore »
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William Shakespeare
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Antonio Canova
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Per anni ho sognato di volare a Parigi e perdermi nelle gallerie del Musée du Louvre.
L’unico desiderio che avevo era di fermarmi davanti alla statua di Amore e Psiche, e lasciarmi rapire.
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Volevo perdermi nei dettagli, nella dolcezza delle mani scolpite, nei riflessi che la luce creava sul marmo bianco.
In piedi davanti a lei l’ho sentita respirare, sotto i raggi che filtravano dalla finestra.
Più la fissavo, più mi sembrava che la pietra perdesse la sua staticità, e allora Psiche accarezzava delicatamente i capelli di Amore come ogni donna fa con l’uomo che la fa sentire viva.
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È possibile che l’arte chiami altra arte?
Lo chiedo perché, nonostante il rumoroso silenzio che regna in ogni museo, mentre stavo lì in piedi ho sentito le note di Ludovico Einaudi che facevano da sottofondo a dei versi di Shakespeare.
Lo chiedo perché davanti ad Amore e Psiche, io ho sperimentato la totalità dell’arte come una realtà viva e palpabile.
Non ho mai avuto un’esperienza simile, se non in un altro museo, nella gelida Vienna di fine gennaio.
Scultura, musica, poesia.
Fuse l’una nell’altra.
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Lo chiedo perché mentre guardavo questi due corpi legati per sempre, ho capito che l’esperienza di chiunque fosse passato davanti alla scultura di Canova dal 1793, non avrebbe potuto che essere unica, e perciò diversa da quella di chiunque altro.
Irripetibilità, è questa la magia dell’arte.
Ed è un po’ la stessa magia che percorre la letteratura.
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La storia la conosciamo tutti, ma ognuno ci legge una sfumatura personale.
Io, nella favola di Amore e Psiche, ci ho sempre visto la costante lotta tra razionalità e istinto, tra testa e cuore. Ma più di tutto, ho sempre sentito nitidamente la vittoria di quella passione prepotente che solo chi è profondamente innamorato conosce.
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Sarà che per me ogni cosa è cuore, anche la testa.
E io non conosco altre unità di misura.
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