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Oceano // Francesco Vidotto

Il mare sta tuonando, fuori dalla finestra, e il suo suono minaccioso attraversa anche le finestre chiuse. Nelle ultime settimane mi sono dedicata principalmente alla lettura, appuntandomi le recensioni nella testa invece che a computer, presa dalla smania di iniziare un libro nuovo non appena avessi chiuso il volume appena concluso.

Ora, però, sento il bisogno di parlarvi di una lettura che ti si inchioda dentro.

Premetto che, inizialmente, non pensavo di poter ricavare chissà quale insegnamento da questo libro. Solo dopo averlo concluso e averci dormito su qualche notte, ho iniziato a sentire davvero il suo sapore, gustandomelo. Come quando si va a cena una sera, si mangia relativamente bene e poi si torna verso casa senza che il nostro stomaco faccia i salti di gioia; ma poi… ma poi dopo un paio di pasti si inizia a pensare, quasi inconsciamente, a quella cena di qualche giorno prima, e a quanto ci piacerebbe riassaporare quei piatti e sedere a quel tavolo.

Un piacere che arriva lento, insomma, ma che indubbiamente arriva.

Come mia consuetudine, non mi preme raccontarvi la trama delle letture di cui scelgo di parlarvi, perciò continuando questo articolo troverete me, tra le righe, e non Oceano, ma prometto che proverò a rendergli giustizia.

“Oceano”.

Srotolata su carta troviamo la vita di Oceano, anziano boscaiolo che vive in un paesino delle Dolomiti e che, per il gioco degli opposti, non ha mai visto il mare. La sua storia è una vera e propria Bibbia di valori.

Un'enciclopedia da cui apprendere e su cui studiare, imparare, crescere.


“Abbiamo solo fatto il meglio che sapevamo, giorno dopo giorno, e siamo arrivati ad essere vecchi”.

L’autore ci regala un nuovo/vecchio modo di vedere l’esistenza:

è l’approccio dei nostri nonni, il metodo delle brave persone, di chi aveva poco, ma era contento di quel poco, perché era comunque qualcosa.

“Oceano” è una raccolta di quello che, nella vita, dovrebbe essere considerato come essenziale ed insegnato in tutti i modi possibili.

Mi rendo conto, però, che certe cose non possono essere tramandate, su certi aspetti non si può essere istruiti: semplicemente uno li possiede, li ha, sono suoi.


L’amore per un figlio, tuo o meno, non si può insegnare.

L’amore per una donna, opportuno o meno, non si può insegnare.

L’amore per una madre, meritevole o meno, non si può insegnare.


Se sei fortunato ci nasci con l’amore vero che ti scorre nel sangue insieme alle piastrine.

E Oceano era fortunato: lui ci è propio nato, e questo amore viene trasportato su carta nel modo più semplice del mondo. Lo leggiamo in piccoli istanti: lui che guarda la moglie quando ormai sono entrambi vecchi e hanno ancora la voglia di scherzare insieme; lui che ha conservato il cappello che Italia, non solo moglie ma compagna di vita, gli ha regalato quando erano molto giovani; Oceano che ama una madre che non lo ha amato di rimando; e infine lui che ama un figlio non suo ma suo più che di chiunque altro, perché è l’amore che ci lega alla gente, non il sangue.


Nella semplicità di questi gesti, nella purezza dei legami raccontati in queste pagine, è racchiusa la potenza dei sentimenti.

Questo è un libro forte, che riesci a digerire dopo giorni, come se ti trovassi nel bel mezzo di un’indigestione. Positiva, però.

Una grande scorpacciata di buono, di vero, di giusto.


L’autore, Francesco Vidotto, a cui mi sento di fare un profondo e sincero ringraziamento per come ha saputo rendere la storia pura, fluida e coinvolgente; racconta di concetti che si conoscono principalmente per sentito dire:

la situazione di sottomissione delle donne intrinseca nel rito matrimoniale del Novecento italiano, la fame, le difficoltà economiche, il problema dell’istruzione e della sua mancanza, la guerra, i sacrifici.

Vidotto ci fornisce un fedele spaccato del Novecento italiano, e personalmente è la prima volta in cui riesco a viverlo davvero, quel periodo. Le lezioni di storia durante gli anni scolastici, alcune letture che raccontano lo stesso periodo e adattamenti cinematografici relativi non sono mai riusciti a farmi capire fino in fondo come sarebbe potuto essere, vivere la prima metà del secolo scorso.

Questo libro ci è riuscito e ha fatto anche qualcosa in più, a mio avviso: non mi ha solo fatto capire, ma mi ha portata a riflettere.


C’è un passaggio, nel romanzo, che riassume il senso di tutto, e non parlo del senso dell’opera. Dico proprio il senso di tutto, di come girano i pianeti e di come nasce nuova vita: Sandrino E Basta, amico di Oceano, una mattina lo sveglia e lo conduce in un piccolo giardino, al sorgere del sole.

In centro a quel fazzoletto di terra c’è un paletto con una cornice inchiodata sopra, intagliata a mano, che racchiudeva il niente. Sandrino invita Oceano a guardarci dentro e quello che si apre e si mostra agli occhi dell’uomo è uno scorcio suggestivo delle Dolomiti, con il sole che ci spunta sopra. Non un quadro, ma una cornice che delimita una sezione del reale: la racchiude, in un rettangolo di legno vuoto, perché qualsiasi trasposizione sarebbe solo una brutta copia.

Si incornicia il vero, lo si va ad evidenziare.

L’autentico.

La base di questa storia è l’autenticità.

Un inno all’essere esattamente come si è, al fare ciò che si può, ad amare come si sa.

Le regole da seguire, sono le nostre.

La donna da scegliere, è quella che ci incendia l’anima.

Il terreno su cui costruire casa, è quello dove ci sentiamo a casa.




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