« Ci sono persone magnifiche su questa terra, che se ne vanno in giro travestite da normali esseri umani. »
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Una mezza stagione.
Né caldo, né freddo.
Ecco cosa è stato per me “Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop”: una lettura tiepida.
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Acquistato tempo fa ad una bancarella, convinta più dalle fedeli fan della storia che dalla trama in sé.
Il nucleo di tutta la storia è la grande famiglia Threadgoode, vissuta negli anni 30 a Whistle Stop, Alabama. Attorno a loro si muove uno sciame di personaggi di ogni tipo, tutti con storie differenti ma legati dal sentimento di esser parte di una stessa comunità.
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Nonostante la vicenda si svolga negli anni 30, le tematiche che la Flagg usa in ogni pagina come zucchero a velo su una torta sono attualissime: si parla di emancipazione femminile, omosessualità, violenza domestica, razzismo, disabilità, prostituzione.
Insomma, la carne al fuoco è tanta, ma gli viene data solamente una scottatina.
L’interno rimane totalmente crudo, e perciò immangiabile.
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L’enorme difetto di questo libro, e per assurdo anche il suo punto di forza, è il modo in cui l’autrice sceglie di raccontare questi temi. Il KKK, i diritti umani, la segregazione razziale vengono solamente sfiorati, come una carezza leggera e quasi familiare. Non viene approfondito nulla, eppure si parla di tutto.
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È stato molto difficile farmi toccare da questa superficialità nei confronti di lotte che mi si sono sempre insinuate sottopelle. Non mi è piaciuta la leggerezza, lo sguardo spesso sfuggevole e la scelta strutturale del romanzo in sé: i capitoli sono brevi, i nomi tanti e gli sbalzi temporali sono frequenti e difficili da seguire.
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Eppure non è un libro che butterei via: Idgie ha un suo fascino (nonostante io continui a credere che in letteratura le donne in grado di cambiare la visione che abbiamo del mondo sono altre), l’anziana Ninny mi ha fatta ridere di cuore e ci sono moltissimi passi che ho segnato con orecchiette e matita.
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