« E’ come la terra. Non si può seminare senza prima arare. Prima si deve spaccare la terra. Bisogna passare attraverso la sofferenza, capisce? Stai spaccando la terra, non c’è niente da fare, non c’è un modo di farlo che non faccia male. »
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La sensazione che lascia addosso questo libro è assurda, una contraddizione potentissima.
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“Senza sangue” è probabilmente il libro più crudo di Alessandro, quello in cui l’attenzione viene focalizzata sul marcio, sul sangue, sulla cieca sete di vendetta.
Eppure, evidenziando tutta l’assenza di umanità che a volte l’umanità possiede, Baricco riesce ad intingere la propria penna nell’inchiostro della speranza.
Ed è quello che si respira durante la lettura, insieme all’odore di morte: speranza, fiducia, rinascita.
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La storia di Nina, dell’omicidio di suo padre e di suo fratello, il suo essere sopravvissuta è esattamente quello che riesce ad arare la terra della vita. Come dice Alessandro stesso, non c’è un modo di farlo che non faccia male, bisogna passare per la sofferenza, è necessaria.
È una lezione vecchia come il mondo, quella del “senza pioggia, niente fiori”, eppure mai come oggi dobbiamo farne promemoria.
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Ho letto “Senza sangue” in quarantena, e alla fine ho segnato a matita una delle mie frasi preferite di sempre:
« Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio. »
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Mi piace pensare che, nelle brutture di questi giorni, stiamo arando una terra, ognuno la sua ed insieme quella di tutti.
Mi piace pensare che tra qualche giorno ci daranno il via per seminare, a distanza di sicurezza, senza abbracciarci.
Ma non sarà solo la terra ad essere seminata in quel momento.
Anche in noi ci saranno, dopo tutto questo male, le condizione per farci fiorire e diventare, finalmente, uno accanto all’altro, Amazzonia.
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