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Seta // Alessandro Baricco

È uno strano dolore. Morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai.

Ale, ma come faccio a raccontare “Seta” al mondo quando è il mondo che racconta se stesso in “Seta”?

Si svela a piccole dosi, l’esistenza: in punta di piedi, con la delicatezza dei bucaneve e i contorni confusi dalla nebbia. Ma è lì, in tutta la sua fragile malinconia.

Racchiusa in 108 pagine.

Tu hai questo grande potere: usi poche parole, ma sono taglienti come cocci di vetro rimasti a terra. E per quanto io ci stia attenta, arriva sempre quel momento in cui muovo un passo inconsapevole e ci finisco sopra.

E che lo voglia o meno, Ale, inizio a sanguinare.


Quando finisco di leggere una delle tue brevissime frasi non ho molto a cui aggrapparmi se non il senso primordiale delle cose. E non ci scappi quando mancano i fronzoli, gli aggettivi, le frasi subordinate. Hai la nuda vita davanti e te la ritrovi schiantata in faccia come un treno ad alta velocità. Tu, Ale, non permetti al lettore di distrarsi: gli fai franare addosso la vita, sempre a piccole dosi, e lo lasci lì, un po’ tramortito, con i piedi insanguinati e la consapevolezza di essere appena stato messo di fronte alla sua condizione di essere umano.

Tu fai così, giusto un taglietto, una cosa da niente ma che ogni singola volta è in grado di far nascere una rivoluzione.

“Seta” è un piccolo pezzo di vetro che ho conficcato nel cuore da anni, non sono ancora riuscita a toglierlo.

Una scheggia aggrappata alla carne e qualche volta lancia una fitta lancinante che non ti lascia scampo.

Si chiamava Hervé Joncour, era mercante di bachi da seta.

Ogni anno raggiungeva il Giappone, ogni anno ritornava.

Il frammento di vetro che mi sta ancora facendo sanguinare l’anima si chiama Hélène, ed era sua moglie.

Quello che mi ha insegnato lei sta ancora cercando di cicatrizzare.

Non so se riuscirà mai a farcela, nel mentre lascio che il suo dolore diventi il mio.

In fondo non siamo questo? Lo stesso dolore, la stessa vita, lo stesso cuore diviso in miliardi di persone?


Questo mi ha lasciato “Seta”: la consapevolezza di un’unità anche nella divisione, la possibilità di fare del perdono un bocciolo in attesa di fioritura.




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